Fotografi Contro

Fotografi Contro

L’in­ter­ven­to di Foto­gra­fi Con­tro a un semi­na­rio sul­la mili­tan­za di clas­se tenu­to da Rifon­da­zio­ne Comu­ni­sta di Torino.

«Il pro­get­to nasce, sul­le pagi­ne di face­book, con il nome di Foto­gra­fi Con­tro la Cri­si Eco­no­mi­ca, dal­la volon­tà di alcu­ni foto­gra­fi pro­fes­sio­ni­sti e non, di fare una foto­gra­fia socia­le che des­se visi­bi­li­tà ai lavo­ra­to­ri col­pi­ti dal­la cri­si eco­no­mi­ca o da ope­ra­zio­ni spe­cu­la­ti­ve. Un’iniziativa che però non vuo­le esse­re vir­tua­le e for­mat­ta­ta, ma al con­tra­rio, vuo­le inve­ce usci­re dal­la rete per inva­de­re le stra­de, le piaz­ze e la vita, per costrui­re del­le azio­ni comunicative.

Dopo un po’ di tem­po, però, il nome Foto­gra­fi Con­tro la Cri­si Eco­no­mi­ca, è diven­ta­to stret­to; e abbia­mo per­tan­to rino­mi­na­to il pro­get­to in Foto­gra­fi Con­tro, met­ten­do ‘la Cri­si’ tra parentesi.

Ma vi doman­de­re­te, come mai dei foto­gra­fi, por­ta­no la loro testi­mo­nian­za a un con­ve­gno-semi­na­rio non espres­sa­men­te dedi­ca­to alle fon­ti ico­no­gra­fi­che, ma dedi­ca­to alla mili­tan­za di classe?

Per rispon­de­re a que­sta doman­da dob­bia­mo ritor­na­re indie­tro nel tem­po, per capi­re come nasce la foto­gra­fia socia­le in Ita­lia. Pos­sia­mo data­re la sua nasci­ta negli anni ’68, ’70, quan­do il movi­men­to spaz­zò via tut­to quel­lo che c’era pri­ma, in altre paro­le da un lato una foto­gra­fia che rie­cheg­gia­va, con le sue diste­se ocea­ni­che di ope­rai, le foto­gra­fie dell’Istituto Luce degli anni Qua­ran­ta, dall’altra la fab­bri­ca, come luo­go chiu­so, impe­ne­tra­bi­le, foto­gra­fie che però dava­no una rap­pre­sen­ta­zio­ne del­la fab­bri­ca da par­te del proprietario.

Negli anni Cin­quan­ta si ha un nume­ro enor­me di foto­gra­fie del mon­do con­ta­di­no, spe­cial­men­te del sud, ma pochis­si­me imma­gi­ni sul­le indu­strie, e quel­le poche fat­te soprat­tut­to all’interno degli sta­bi­li­men­ti. Foto­gra­fie, però, fat­te su com­mis­sio­ne, ste­reo­ti­pa­te … come la men­sa, la cate­na di mon­tag­gio, gli ope­rai tut­ti lustri e puli­ti. Nes­su­na foto­gra­fia di mani­fe­sta­zio­ni, per­ché il mon­do sin­da­ca­le rina­sce, come sto­ria, negli anni Ses­san­ta. Non esi­ste­va nel nostro pae­se, a dif­fe­ren­za di pae­si come Fran­cia o Sta­ti Uni­ti, una sto­ria di foto­gra­fia socia­le, ma soprat­tut­to non esi­ste­va una foto­gra­fia operaia.

Ma anche la rina­sci­ta del movi­men­to sin­da­ca­le negli anni Ses­san­ta non por­ta auto­ma­ti­ca­men­te alla nasci­ta di una foto­gra­fia socia­le, anzi rima­ne ben vivo il pro­ble­ma del­la com­mit­ten­za, in altre paro­le da chi era­no com­mis­sio­na­te le foto. Per­tan­to il foto­gra­fo dell’Unità scat­ta­va foto per esal­ta­re il gran­de scio­pe­ro, quel­lo del­la Came­ra del Lavo­ro docu­men­ta­va la mas­sa e le paro­le d’ordine, men­tre i gior­na­li tipo La Stam­pa o Il Cor­rie­re scat­ta­va­no foto in cui cer­ca­va­no di smi­nui­re, oppu­re cer­ca­va­no gli inci­den­ti o altri fat­ti nega­ti­vi, infi­ne il foto­gra­fo dell’Ansa scat­ta­va foto neu­tre, fun­zio­na­li a tut­ti i gior­na­li. Vi era, cioè, una rap­pre­sen­ta­zio­ne del­le mani­fe­sta­zio­ni sin­da­ca­li e del mon­do del lavo­ro, anche qui, per ste­reo­ti­pi, lega­ti al tipo di imma­gi­na­rio, d’iconografia volu­ta e usa­ta dai giornali.

Ma alla fine degli anni Ses­san­ta, il mon­do del lavo­ro subi­sce una tra­sfor­ma­zio­ne radi­ca­le, con l’arrivo degli emi­gra­ti, con l’arrivo di nuo­ve for­ze lavo­ro, con l’ingresso del­le don­ne nel­la vita socia­le. E a que­sto pun­to qual­che foto­gra­fo, e per­met­te­te­mi di cita­re in pri­mis Ulia­no Lucas, si pone il pro­ble­ma di come anda­re oltre al soli­to sog­get­to; di come dare un’altra rap­pre­sen­ta­zio­ne di tut­te que­ste nuo­ve for­ze socia­li che entra­no in cam­po e mani­fe­sta­no. Si ini­zia così a pen­sa­re al cor­teo come un gran­de tea­tro di stra­da, dove suc­ce­de di tut­to, dove gli ope­rai e le ope­ra­ie sco­pro­no le cit­tà, se ne impa­dro­ni­sco­no, e duran­te il per­cor­so par­la­no, can­ta­no, discu­to­no, gridano.

E come rac­con­ta­re tut­to que­sto? La rispo­sta è sem­pli­ce …… stan­do den­tro il cor­teo. Tra­la­scian­do l’apertura del cor­teo con gli stri­scio­ni e le paro­le d’ordine per inte­res­sar­si di quel­lo che suc­ce­de den­tro, per cer­ca­re di coglie­re que­gli ele­men­ti dati dal­le nuo­ve real­tà socia­li che si stan­no affacciando.

Que­ste nuo­ve for­ze, entra­te all’interno del mon­do del lavo­ro, con un nuo­vo modo di rap­por­tar­si, con una coscien­za di clas­se che cre­sce­va, fan­no nasce­re un nuo­vo modo di fare foto­gra­fia; una foto­gra­fia che segui­va que­sti sog­get­ti anche fuo­ri dal­le mani­fe­sta­zio­ni, li segui­va nei quar­tie­ri, nel­le case, nel­le aggre­ga­zio­ni che poi sfo­cia­va­no nel­le manifestazioni.

E qui la foto­gra­fia si tra­sfor­ma, e anco­ra oggi noi rite­nia­mo che que­sto modo di fare foto­gra­fia abbia una sua gran­de vali­di­tà, per­ché i sog­get­ti ripre­si non sono più ripre­si in chia­ve pro­pa­gan­di­sti­ca, ma diven­ta­no dei sog­get­ti cui il foto­gra­fo ten­ta di dare un valo­re aggiun­to, una vita; diven­ta­no cioè dei sog­get­ti vivi.

E qui il foto­gra­fo diven­ta un ami­co, quel­lo che sì, anda­va a fare foto­gra­fie, ma per denun­cia­re deter­mi­na­ti fat­ti. Vede­va­no in lui un sog­get­to che li rap­pre­sen­ta­va, uno che coo­pe­ra­va con la loro sto­ria. E que­sto modo di rap­por­tar­si con i diver­si sog­get­ti del movi­men­to, da par­te del foto­gra­fo, dura fino agli anni del ter­ro­ri­smo, quan­do anche all’interno del mon­do ope­ra­io c’è un cam­bia­men­to e si inco­min­cia a guar­da­re il foto­gra­fo con sospetto.

Se pri­ma la foto­gra­fia era quel­la che docu­men­ta­va, che rac­con­ta­va sto­rie, incon­tri, vita e cir­co­stan­ze, ora può esse­re usa­ta come mez­zo di altro gene­re, come mez­zo di dela­zio­ne. E qui il mon­do che pri­ma si era aper­to, si chiu­de e ini­zia la dif­fi­den­za. Que­sto anche per­ché, una del­le pri­me cose che fa il gene­ra­le Dal­la Chie­sa, e quel­la di cer­ca­re le foto del­le mani­fe­sta­zio­ni negli archi­vi fotografici.

Que­sta foto­gra­fia, vista come pos­si­bi­le dela­zio­ne dura per tan­to, tan­to tem­po, fin­ché il tut­to cade in mano ai pub­bli­ci­ta­ri. E que­sto decre­ta la fine del foto­gior­na­li­smo, per­ché scom­pa­re il free-lan­ce che diven­ta un dipen­den­te del­le ban­che dati.

Ed è pro­prio par­ten­do dal­le inno­va­zio­ni intro­dot­te dal­la nasci­ta del­la foto­gra­fia socia­le in Ita­lia, e cioè dal­lo sta­re den­tro il movi­men­to, nel voler rac­con­ta­re le sto­rie, nel voler­si por­re come sog­get­to coo­pe­ran­te con i lavo­ra­to­ri, che il pro­get­to Foto­gra­fi Con­tro (la Cri­si) nasce. Ma vuo­le evol­ver­si ver­so l’uso di nuo­vi mez­zi e tec­no­lo­gie, pur rispet­tan­do l’essenza di quel­la che è la foto­gra­fia, per­ché rite­nia­mo che essa sia una del­le for­me di comu­ni­ca­zio­ne più poten­te che abbia­mo a dispo­si­zio­ne, per­ché ha una for­za emo­ti­va tale da poter coin­vol­ge­re le per­so­ne in un modo più pro­fon­do di qual­sia­si altro media. Ma que­sto non pre­clu­de per nul­la la pos­si­bi­li­tà di poter usa­re e mostra­re le imma­gi­ni anche in modi differenti.

Ed è pro­prio per que­sto che voglia­mo cer­ca­re di per­cor­re­re stra­de nuo­ve, che poi tan­to nuo­ve non sono. Anda­re sì, nel­le piaz­ze, nei pre­si­di fuo­ri dal­le fab­bri­che e più in gene­ra­le in ogni situa­zio­ne di con­flit­to socia­le, non più solo arma­ti di mac­chi­ne foto­gra­fi­che, ma anche di regi­stra­to­ri, per regi­stra­re le voci dei pro­ta­go­ni­sti, per sen­ti­re le loro sto­rie, per ren­der­li atti­vi e par­te­ci­pi alla ste­su­ra del lavo­ro di cui saran­no protagonisti.

Diven­ta­re, cioè, insie­me a que­sti sog­get­ti socia­li, in pra­ti­ca degli ‘Sto­ry Tel­ler’; ovve­ro dei nar­ra­to­ri di sto­rie. Nar­ra­to­ri di sto­rie, che però cer­che­ran­no di vei­co­la­re le imma­gi­ni anche in modi dif­fe­ren­ti da quel­li tra­di­zio­na­li, così da rag­giun­ge­re un pub­bli­co più vasto. Ed è per que­sto che con­si­de­ria­mo la mul­ti­me­dia­li­tà come ele­men­to cen­tra­le del nostro lavo­ro. Nar­ra­to­ri di sto­rie che rac­con­ti­no le sto­rie di tut­te quel­le figu­re, ope­rai, migran­ti, gio­va­ni sen­za pro­spet­ti­ve; sto­rie e sog­get­ti che nes­su­no ha inte­res­se, né a rac­con­ta­re né a foto­gra­fa­re, per­ché l’unico impe­ra­ti­vo di que­sta socie­tà che ci foto­gra­fa in ogni tem­po e luo­go, è quel­lo di degra­da­re la foto­gra­fia allo spet­ta­co­lo del­la mer­ce uma­na; quan­do inve­ce noi voglia­mo pro­por­re la neces­si­tà di indi­gnar­si ai pro­ble­mi socia­li facen­do segui­re degli atti di rea­zio­ne, per­ché l’indignazione non può per­met­ter­si e non deve più rima­ne­re sol­tan­to silente!

Ed ecco il per­ché del nome Foto­gra­fi Con­tro; per­ché sia­mo stu­fi del­le miglia­ia di foto­gra­fi a favo­re, omo­lo­ga­ti, vir­tua­li, schie­ra­ti, stru­men­ti in mano alla disin­for­ma­zio­ne del potere.

Ed ecco, che il pro­get­to Foto­gra­fi Con­tro, diven­ta un pro­get­to di foto­gra­fia oltre che socia­le, anche mili­tan­te. Un pro­get­to che stan­do den­tro le situa­zio­ni di con­flit­to, per capi­re e impo­sta­re, insie­me a tut­ti i sog­get­ti pro­ta­go­ni­sti, del­le ini­zia­ti­ve di denun­cia e con­tro­in­for­ma­zio­ne, ma che non si limi­te­rà alla sola denun­cia, ma cer­che­rà anche di met­te­re in moto un pro­ces­so socia­le e poli­ti­co, insie­me a que­sti sog­get­ti. Pro­prio per que­sto, non esclu­dia­mo for­me di col­la­bo­ra­zio­ne con asso­cia­zio­ni, rap­pre­sen­tan­ze sin­da­ca­li, poli­ti­che, e con chiun­que vor­rà dare indi­ca­zio­ni uti­li oltre allo svi­lup­po e alla divul­ga­zio­ne dell’iniziativa, anche alla rea­liz­za­zio­ne dei lavori.»

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